Primavera: alla scoperta di Andrea Rinaldi

Il centrocampista è all'Atalanta dal 2013

Nella settima puntata del nostro viaggio nel mondo della Primavera, andiamo alla scoperta di Andrea Rinaldi, centrocampista classe 2000 alla sua quinta stagione in nerazzurro. Una mezzala che in passato ha firmato gol importanti. E sabato nel match con la Lazio ha fatto il suo esordio ufficiale in Primavera.

Andrea, partiamo proprio dall’esordio. Una decina di minuti nel finale al posto di Colpani, ma per te molto importanti.

“Sì, è stata una bella emozione e una grande soddisfazione. È successo tutto all’improvviso. Regalo più grande il mister non poteva farmi. E ripaga dei tanti sacrifici che la mia famiglia ha fatto e continua a fare per me. Sabato c’erano mio papà e mio nonno a vedermi, mentre mia mamma e mia sorella hanno seguito la partita in tv. Quest’anno ci alleniamo tutti i giorni e due volte a settimana i miei genitori mi devono accompagnare perché non ho ancora la patente. La mia famiglia c’è sempre stata e sta facendo di tutto perché io possa continuare su questa strada. E questo mi dà la forza per ripagare i sacrifici che hanno fatto. Se sono qui, è grazie a loro”.

L’esordio è un punto di partenza?

“Sicuramente, ma io resto coi piedi per terra e penso solo ad allenarmi al massimo per cercare di guadagnarmi un po’ di spazio quando il mister riterrà opportuno di farmi giocare. Io sono un 2000 e già poter giocare in una squadra che ha ragazzi molto bravi di uno-due anni più grandi, è una bella soddisfazione e aumenta l’importanza di questo esordio”.

Come è nata la tua passione per il calcio?

“Ho visto un pallone ed è scattato l’amore: non riuscivo più a staccarmi. Ho iniziato a giocare nella squadra del mio paese, Cermenate, in provincia di Como, quando avevo 6 anni. Ai tempi giocavo di punta e segnavo anche parecchio, cosa che ha aiutato a farmi notare. Anche dall’Atalanta che per un anno mi ha fatto allenare a Brembate. Mi seguivano da tempo, ma non sono arrivato subito. Dopo tre anni a Cermenate, sono andato al Como e poi al Monza, finché non è arrivata la chiamata ancora dell’Atalanta e dal 2013, dai Giovanissimi Regionali con mister Lorenzi, sono qui”.

Dicevi che da bambino giocavi di punta. Quando sei passato a centrocampo?

“Già ai tempi del Como quando abbiamo cominciato a giocare a 7. All’inizio mediano, poi dai Giovanissimi Nazionali mezzala. Da piccolo, giocando in attacco, il mio idolo era Pippo Inzaghi: avevo comprato anche la sua maglietta. Poi crescendo e cambiando di ruolo, ho cambiato punti di riferimento: Pirlo, giocatore immenso, Iniesta, ma soprattutto Gattuso, che per me è stata una vera fonte di ispirazione. È stata una grande emozione poterlo incontrare quando c’è stata quest’anno la gara con il Milan. Ora mi piace molto come gioca Torreira della Samp e nell’Atalanta Freuler perché oltre a essere molto bravo tecnicamente, riesce a mettere in campo sempre la giusta cattiveria agonistica. Quando capita di allenarsi con la prima squadra è sempre un’occasione per osservarli da vicino. Un altro che mi ha impressionato molto è Iličić. Da questi giocatori c’è solo da imparare”.

Il fiuto del gol a quanto pare ti è rimasto, soprattutto nei momenti importanti…

“Il gol segnato nel finale della partita con la Roma nel girone delle Final Eight Under 17 2015-2016 è stato il più emozionante in assoluto insieme a quello segnato l’anno successivo nella finale scudetto con l’Inter. Ma quello alla Roma ha avuto un significato particolare, è stata un’emozione che ricorderò per tutta la vita. Eravamo sotto in una gara importante per la qualificazione alle semifinali e per me che ero un anno più piccolo di tutti, è stata una soddisfazione enorme avere la fiducia di mister Brambilla: a dieci minuti dalla fine mi ha fatto entrare e sono riuscito a segnare un gol importante”.

Dopo il gol hai guardato in alto e rivolto le braccia al cielo. C’era un significato particolare dietro a quel gesto?

“Quel gol era per mia nonna Rosa che è volata in cielo quando avevo 5 anni. A fine partita tutti mi facevano i complimenti e mi ringraziavano per quella rete ma mi sono reso veramente conto di quello che avevo fatto, quando poi ho visto mio padre: ero talmente felice che sono scoppiato a piangere. Per me poi aveva significato tanto segnare in uno stadio come il Manuzzi di Cesena, fare gol in uno stadio così era un po’ quello che sognavo da bambino”.

E ti sei ripetuto anche l’anno dopo. Hai già citato il gol all’Inter nella finale-scudetto della scorsa stagione. Ci è mancato poco che facessi il bis e vincessi due titoli con l’U17, ma ti sei confermato giocatore che segna nelle gare importanti.

“Già nello stadio di Cesena ho segnato due gol: si vede che ci piacciamo a vicenda. Anche se la seconda volta non è finita come speravamo. La prima stagione con mister Brambilla però non la dimenticherò mai. Abbiamo vinto lo scudetto, è stato tutto fantastico. Peccato per l’anno dopo, ci siamo andati vicinissimi. Quanto al mio gol in finale, magari tendo a dare il meglio nelle partite più difficili. Cerco sempre di dare il massimo in ogni gara, di entrare in campo con la testa giusta e quando la posta in palio sale, aumenta anche la concentrazione, la determinazione. Da piccolino giocavo in attacco e forse qualcosa mi è rimasto, un po’ di fiuto del gol. Devo riuscire a ritrovarlo più spesso”.

  • 22/11/2017
  • Andrea Rinaldi
  • Primavera